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8 aprile 2025

8 aprile 2025

Ricorre oggi, 8 aprile, il ventesimo anniversario della morte di Giuseppe Ajmone.

Ho piacere di condividerne il ricordo con l’immagine di un’opera, La scoperta del corpo, presentata come pezzo centrale della mostra di nudi alla galleria Bergamini nel 1992 e con la lettera indirizzata da mio padre a Giulio Bergamini, riportata in catalogo.

Natalia Ajmone   

                                                                 

1991, La scoperta del corpo, olio su tela, 114x146cm

 

Caro Giulio,

eravamo nell’autunno del 1941 e la grande aula d’affresco di Funi in Brera aveva preso l’aspetto del Teatro Farnese, occupata com’era da enormi cavalletti di legno che, quasi macchine di scena, servivano al maestro per l’esecuzione di cartoni destinati alla ‘E42 di Roma.

La luce delle vetrate colpiva variamente i bellissimi calchi in gesso che riproducevano le più famose sculture della Grecia classica. Sistemate su piedistalli ad altezza d’occhio, si snodavano attorno a noi come un fantastico Parnaso, quello al quale Fidia, Policleto, Scopa e quant’altri avevano lavorato, credo anche per umiliarci. Queste opere erano toccate, come dicevo, da quella miracolosa luce di Lombardia che da sempre, con il suo sottile e raffinato pulviscolo atmosferico, ha così marcato l’occhio di quegli artisti che hanno operato sotto il suo cielo, da renderli maestri nell’avvolgere in quel tal magico grigio le loro opere. Sotto lo sguardo di questi semidei greci che con gli impercettibili movimenti dei loro gesti riuscivano ancora, dopo tanti secoli, a ritmare l’eternità dello spazio intorno, in atteggiamento diverso e più in basso, sopra povere pedane ricoperte in tela di iuta, posavano i modelli, quelli veri in carne e ossa assolutamente nudi e non protetti dalla patina dell’arte. Non erano bellissimi ma forse la loro non avvenenza era accentuata anche dal confronto con le sculture.

Quei corpi, dicevo presentavano molti difetti di fattura; seni e glutei cadenti, gambe e braccia troppo grasse o esageratamente magre; certo nessun impulso erotico ma solo uno slancio di pietà ti avrebbe spinto verso l’abbraccio. Come lavorare sul corpo umano? Analizzandolo attraverso una costante dissezione per ridurlo “en morceaux”, come recitava il titolo di un’eccitante e straordinaria esposizione del 1990 al Mùssee d’Orsay di Parigi.  Un corpo da ricostruire secondo una nuova sintassi nutrita dal modo di sentircelo addosso, non impauriti dagli eccessi di pietà o di impudicizia ma senza l’arroganza del possessore, perché sono le incertezze, i tremori e le tenerezze a renderlo vivo.

Gli artisti spesso si illudono o cercano di illudere credendo di aver creato “il corpo”. Non è vero perché tutti quelli venuti prima di loro avevano la stessa convinzione e certamente l’avranno quelli che verranno dopo. Gli artisti con le loro opere fanno un “maquillage” di poco soltanto più duraturo di quello che l’uomo compie ogni giorno e la ragione che li accomuna è il desiderio di ritardare, di quel corpo, il decadimento e la fine; la veste che portiamo va curata e rattoppata ma il significato della sua essenza non può mutare: la ragione prima è che ci consoli con la sua presenza.

Giulio, non ti propongo una mostra di certezze, quello che posso fare è testimoniare del tenero interesse che quel corpo continua ad esercitare sul mio lavoro da quel lontano 1941, approfittando subdolamente anche della mia paranoica ostinazione.

Con affetto

Giuseppe Ajmone, 22 Settembre 1992

 

P.S. La prima volta che esposi dei quadri alla Galleria Bergamini fu nel 1946. Era una piccola collettiva con Bergolli, Morlotti, lo scultore Paganin e Testori.

La galleria pubblicò allora un libretto intitolato “Posizione” con un testo di Pompeo Borra che allora affiancava Bergamini nella direzione della Galleria. Per l’occasione, ogni sera, per una settimana ci incontravamo con un gruppo di intellettuali milanesi in una specie di convivio per discutere le cose dell’arte. Erano presenti tra gli altri Malipiero, Alfonso Gatto, Giansiro Ferrata, Elio Vittorini, Luciano Anceschi, Salvatore Quasimodo, Paolo Grassi, Beniamino Dal Fabbro, Alessandro Cruciani, Raffaele De Grada, Enzo Paci, Antonio Banfi, Massimo Bontempelli,

Mario De Micheli. La vivacità delle serate, alle quali partecipava anche un discreto pubblico e importanti collezionisti era garantita dalla passione con la quale si difendevano principi e sogni di una generazione di artisti legata dalla voglia di costruire una nuova cultura.

Feci in seguito due mostre personali in questa stessa galleria, nel 1971 e nel 1977.

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18 maggio / 4 luglio 2020
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