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Nudo sulla sedia

1943

Nudo sulla sedia

olio su tela, 100,5 x 70,5 cm

firmato e datato in alto a destra G. Ajmone/ 43

collezione privata

 

Esposizioni: Ex Convento della Purificazione, Arona 1995; Galleria Rotaross, Novara 2009.

 

Bibliografia: Rosci 1995, ill. p. 25; Bonini 2009, ill. p. 13.

 

É una delle opere che Ajmone dipinge quando è ancora in accademia sotto la guida di Achille Funi e doveva tenerci in modo particolare dal momento che è sempre stata appesa nel suo studio a Romagnano Sesia. Funi, il maestro che gli aveva fatto amare il disegno e il corpo umano e che andava ripetendo: “È il mestiere che bisogna conoscere, il mestiere fino in fondo. Poi, usciti di qui, facciano quello che vogliono, ma non c’è altro che la conoscenza della tecnica, del mestiere per fare l’artista; che prima di essere artista, cioè poeta, deve essere un artigiano con le carte in regola. Non credo in altre ricette”.1

È il 1943 e in Europa imperversa la guerra e la terribile ombra nera come la pece alle spalle della figura ne è il segno tangibile: una presenza furtiva, inquietante e drammatica. La donna, appollaiata su una sedia molto spartana, non ha nulla di femminile e di aggraziato.

Non è un ritratto, ma una forma, anzi lo studio per una costruzione volumetrica e plastica di un corpo. I lineamenti hanno contorni spezzati e stilizzati, il corpo è modellato con chiaroscuri che nascono da sedimentazioni geometriche di materia spessa e compatta. Non ci sono passaggi morbidi, ma territori primitivi (soprattutto nel volto), che fanno venire alla memoria alcune opere di Matisse, anche se con un accento di maggiore gravità; di Derain e di Picasso. Ma sopra ad ogni altro, è l’amore per Braque che si coglie: nelle forme che modellano la superficie del corpo, nel gigantismo degli arti (in particolare quelli inferiori) e nei colori che vanno dal crema al nocciola, dal marrone al grigio al nero. Per quest’opera anche Rosci parla di “«realismo» cubizzato” e aggiunge un riferimento “guttusiano […] modellato dall’oltranza cromatica”.2

La donna, stipata in un angolo, le spalle curve, la mano abbandonata in grembo, lo sguardo triste, esprime tutta la desolazione e il peso di quanto sta accadendo fuori da quelle mura. Ajmone dipinge quanto più solidamente può un corpo, esattamente come fa con gli oggetti di molte nature morte coeve, dove, per altro, raggiunge toni ancora più cupi e minacciosi, dal momento che di tutti quelle “cose ordinarie” (lampade a olio, caraffe, vasi e piccoli utensili domestici) in un mondo martoriato dalle bombe non si sa proprio cosa farsene.

 

1 A. Funi, M. Lepore, Il pittore, Vallecchi, Firenze 1962, p. 47.

2 M. Rosci, Ajmone. Opere scelte 1943-1997, Mazzotta, Milano 1995, p. 11.

18 maggio / 4 luglio 2020
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